di Andrea Zhok
Alla luce della rinnovata minaccia di una crisi finanziaria, con rinnovate pressioni tedesche sull’Italia perché aderisca al MES, ripropongo quanto scrissi esattamente 3 anni fa, a pandemia iniziata da poco.
Olanda e Germania, secondo un copione consolidato da più di un decennio, hanno rigettato tutte le proposte relative alla messa in comune del debito relativo alla crisi coronavirus (eurobond o covid-bond che dir si voglia).
Il Ministro tedesco dell’economia Altmeier ha affermato senza mezzi termini che “la discussione sugli eurobond è un dibattito sui fantasmi” (“Die Diskussion über Euro-Bonds ist eine Gespensterdebatte”) e ha aggiunto che “dalla lezione degli anni ’70 abbiamo imparato che lo Stato non può salvare tutti” e che l'”Innovazione è più importante delle sovvenzioni”. (“Innovation ist wichtiger als Subvention”)
Ora, per gli amici che non si dilettassero di storia economica, l’armamentario argomentativo di Altmeier è l’esatta proiezione degli anni d’oro del neoliberismo.
Il riferimento alla “lezione degli anni ’70” è emblematica: ci si riferisce alla stagflazione di metà degli anni ’70, indotta dalla crisi petrolifera seguita alla guerra del Kippur, che venne letta dai teorici della ‘controrivoluzione liberista’, a partire da Friedman, come la dimostrazione del fallimento del keynesismo.
È al tempo stesso indicativo e preoccupante che la base dell’argomento di Altmeier sia un episodio di mezzo secolo fa, visto che sulla scorta del treno di eventi che ne è seguito, e delle soluzioni neoliberali, abbiamo assistito ad una serie di crisi finanziarie senza precedenti, ad una divaricazione costante della forbice tra ricchi e poveri, e infine ad un rallentamento strutturale delle economie più aperte alle soluzioni neoliberali, come l’eurozona.
Qui ci troviamo di fronte ad un esempio cristallino della potenza di un paradigma ideologico che non ha più alcuna parvenza di teoria economica, ma è di fatto un articolo di fede, infalsificabile.
Ma naturalmente c’è di più.
La componente ideologica è importante, soprattutto perché molti soggetti diversamente svegli – spesso dotati di cattedra in prestigiose università economiche – continuano ad aderirvi in buona fede, e finiscono per accreditare questa spazzatura.
Il problema è però in egual misura un problema di potere e di equilibri di potere.
È del tutto noto che il sistema dell’euro consente una ‘messa in comune’ del valore della moneta, permettendo così alle economie con maggiore produttività di giovarsi di un sussidio alle esportazioni. La Germania non avrebbe potuto infilare i suoi costanti record di bilancia dei pagamenti in attivo (peraltro in violazione dei trattati) se non si fosse giovata di questa messa in comune della moneta con economie con produttività inferiore. La Germania da sola, con il marco, avrebbe assistito ad una rivalutazione della moneta, che avrebbe ridotto la competitività nell’export. Invece la situazione fotografata dal passaggio all’euro ha cristallizzato i vantaggi competitivi di quel momento: i paesi che ad inizio 2000 avevano maggiore produttività hanno goduto di un vantaggio comparativo che ha portato maggiori denari nelle loro casse, consentendo maggiori investimenti, che hanno preservato o ampliato il vantaggio competitivo.
È perciò del tutto naturale che Altmeier dica che “l’innovazione è più importante delle sovvenzioni” perché l’innovazione ha un costo, in termini di investimenti, un costo che i tedeschi si possono permettere ed altri no. E la loro prospettiva autogiustificativa, non da oggi, è che il vincitore ha sempre ragione (solo l’ordalia della competizione stabilirà chi ha avuto ragione e chi torto agli occhi di Dio).
Ora, tutti, tranne qualche imbecille nostrano, sa che in gioco in questa discussione non è un puntiglio di teoria economica, ma rapporti di potere consolidato all’interno dell’UE.
La teoria economica serve a puntellare di una plausibilità tecnica quella che è una sostanza di potere: caschi il mondo i paesi che in questi anni hanno goduto di un peculiare vantaggio competitivo non vogliono cederlo per un evento estemporaneo come uno stramaledetto virus.
E non lo cederanno.
La messa in comune della moneta gli porta vantaggi, dunque va bene.
La messa in comune del debito limita quei vantaggi, e dunque non va bene.
E con ciò il discorso è chiuso.
Sperare che una chiacchiera dell’Eurogruppo in più tra una settimana o due settimane o tre settimane porterà ad un accordo tra gentiluomini è illusorio. Perché qui di gentiluomini non c’è traccia.
La Germania e i suoi satelliti hanno ottenuto attraverso la rete di trattati sottoscritti da altri paesi, con classi dirigenti più stupide, un vantaggio comparativo che non hanno nessuna intenzione di mollare. Punto.
Quanto è plausibile che tremebondi europeisti come il ministro Gualtieri o il conte Gentiloni vadano a “battere i pugni” a Bruxelles?
Zero.
In cosa possiamo sperare?
La risposta temo sia terribile e in un certo senso palesemente immorale. Possiamo solo sperare che la catastrofe sia di dimensioni talmente estese e coinvolga classi dirigenti con maggiore spina dorsale delle nostre (Francia in primis) in maniera da forzare la Germania non ad una modifica dei trattati – che non avverrà mai – ma all’accettazione di ‘momentanee’ soluzioni di frammentazione dell’UE in sottogruppi con interessi più prossimi, soluzioni che poi, si riveleranno definitive.
Insomma il fallimento abissale delle nostre classi dirigenti ci porta a sperare nell’equanime severità del Male.
La Provvidenza del diavolo.
Foto: Idee&Azione
26 marzo 2023