di Lorenzo Marinoni
L’occultismo nero non è quel contenuto mitologico di cui è vano cercare traccia nella modernità, eccezion fatta per qualche sparuto gruppetto di disadattati che coltivano di tanto in tanto nella penombra una sinistra idiosincrasia verso i felini domestici dal manto scuro.
Non si devono cercare esorcisti o effetti speciali sanguinolenti, perché l’occultismo nero si serve al contrario del dimesso ed asettico materialismo nelle sue diverse espressioni per reclutare potenziali adepti in ogni ambito della società civile.
Tutti i vari “scienziati” che vengono sbalzati in TV, per poi rimanervi con continuità ossessiva, e che si prodigano nel vendere per scienza lo scientismo, la tecnocrazia e le strategie commerciali di Big Pharma, sono semplici legionari di un’armata delle tenebre capeggiata in ultima istanza da esseri che non sono fatti di carne e di sangue. Ovviamente i legionari ridacchiano increduli di tutto ciò ed è proprio questa loro leggerezza irresponsabile che li rende manovrabili dall’alto secondo possessione.
Quanti sono stati irretiti dalla simpatia per il marxismo – suprema espressione politica del materialismo, scambiato a torto per realismo – hanno creduto che l’applicazione di tale ideologia avrebbe finalmente annullato ogni sperequazione sociale. Essi hanno trascurato un elemento fondamentale, vale a dire la constatazione che il suo fattore propulsivo – nient’affatto sottaciuto, ma addirittura programmaticamente ostentato – è quell’odio di classe che, solo a parti invertite, risale ancora all’Ancién Regime, mai estinto: l’odio che l’aristocrazia dominante, del denaro e del sangue, nutriva e nutre verso tutti gli altri esseri umani, considerati una sorta di specie subumana.
Questa considerazione, che è perfino banale per chi sa distinguere l’essenziale dall’inessenziale, fornisce tra l’altro la prova indiretta che c’erano le stesse menti perverse dietro Bolscevismo e Hitlerismo e che il bipolarismo sinistra-destra era ed è – oggi più che mai – un diversivo usato da costoro per continuare a frastornare gli sprovveduti proprio in un momento nevralgico per il dispiegamento senza più reticenze del loro progetto nazicomunista.
Come ho già avuto modo di dire, il soggetto predisposto ad abbracciare l’ideologia globalista patisce in sostanza gli effetti di quello che la stessa intellighenzia globalista definisce “pensiero debole”: ovvero la manifesta incapacità di comprendere la realtà a causa dell’insistita dedizione al nominalismo e al relativismo.
La confusione mentale può essere motivo d’orgoglio, invece che di vergogna, solo presso individui tanto arroganti da voler imporre la loro personale ignoranza quale metro di giudizio dell’umano conoscere. Sulla scia di Kant, questi “dittatori culturali” affermano: dove finisce la mia capacità conoscitiva deve finire per forza anche la tua e quella di chiunque altro. Se non è questa la forma più radicale di intolleranza….alla faccia della “inclusione” e del “confronto democratico”!
Il globalista, in quanto marxista, è un materialista che non riconosce alcun valore all’individuo, ma solo appunto al gruppo di appartenenza, alla “classe” ed è perciò così sensibile anche alle questioni della “razza”.
La famiglia mafiosa (la comunanza di sangue) o la loggia massonica (una comunanza pseudo-sapienziale) non sono che ulteriori varianti di entità collettive nelle quali l’individuo svanisce nello status di pedina sacrificabile sull’altare della relativa organizzazione. Non è neppure un caso che la Mafia sia la bassa manovalanza della Massoneria e che i vertici dello Stato, quando occupati da massoni, condividano la forma mentis dei boss: ragion per cui – detto per inciso – la cosiddetta trattativa Stato-Mafia non è il frutto di chissà quale macchinazione eversiva, bensì nient’altro che l’approfondimento naturale di un’affinità di pelle.
Il globalista non distingue il concetto di individualismo da quello di egoismo o, per dirla nei termini della psicologia junghiana, l’Io dal Sé, e ciò nonostante vuole conferire spessore metafisico ad una posizione ideologica che cancelli il senso dell’evoluzione individuale umana. Egli butta il bambino dell’Io superiore in germe insieme all’acqua sporca dell’Io inferiore antisociale e ritiene l’annullamento dell’Io in quanto tale una realizzazione auspicabile, secondo quell’ascetismo di stampo orientale (la fuga dal mondo, visto come Maya, per fondersi finalmente col Tutto) cui già ho accennato in relazione alla natura luciferica della Teosofia, oppure di stampo controriformistico, cioè di matrice – non a caso – gesuitica.
Il globalista non considera che, aspirando ad una società di uomini che annichiliscano sé stessi per un principio vuoi di “ordine pubblico”, vuoi morale, vuoi iniziatico, apre il campo e legittima le pretese totalitarie di qualsiasi prepotente che si voglia far tiranno.
Egli invece è cocciutamente convinto proprio del contrario, ritenendo sé stesso e i suoi sodali gli unici, autentici difensori della democrazia: quel valore sommo, nonché massima conquista del mondo occidentale, costantemente in pericolo a causa dei fascismi razzisteggianti delle pericolose destre.
Questa storiella è tanto più creduta dal globalista in modalità “struzzo duro e puro” nel mentre la democrazia, proprio nel suo luogo di elezione, gli USA, e proprio per opera dei cosiddetti “democratici”, è stata vilipesa nella sua stessa essenza, sovvertendo la volontà popolare sulla base di interessi corporativistici.
Il globalista considera inoltre quasi sinonimi i concetti di democrazia e di libertà e in ciò tradisce il totalitarismo antiumano in cui intimamente crede: la libertà è per costui il volere che il potere costituito ha il diritto di imporre a tutti gli altri, essendo esso espressione anonima di una maggioranza numerica, nella quale Leonardo Da Vinci e Leonardo Pieraccioni contano 1 + 1.
Il simpatizzante globalista, instupidito dalla propaganda mediatica, non arriva nemmeno a sospettare vagamente che fascismo e nazismo possano essere stati ispirati e sovvenzionati dalle stesse forze, da lui stesso ora appoggiate, che nonostante i loro ideali malthusiani, eugenetici e transumanisti si fingono – dal Covid al Colpo di Stato contro Trump – l’antitesi delle dittature novecentesche di destra. Bisogna proprio essere affetti da una grave forma di dissociazione dalla realtà per credere fino alla morte che il lupo sia la nonna solo perché il lupo, liberatosi per esuberanza pure di cuffietta e occhiali, continua a dire di esserlo.
Come ho già spiegato in altro articolo, per avvicinarsi a definire il progetto globalista si deve coniare un neologismo come quello di “nazicomunismo” ed è proprio questa sintesi infernale tra idee di estrema destra e di estrema sinistra che i leader globalisti vogliono far passare sotto traccia, continuando a rimestare una contrapposizione che per parte loro è già stata risolta, coniugandone mostruosamente i termini. La Quarta Rivoluzione Industriale di cui parla quel signore tedesco dall’aspetto di un grosso maiale rubizzo – il cui colorito non è dato sapere se sia per sazietà o per l’ingordo presagio di un lauto pasto a venire – non è altro che il Quarto Reich globalista.
Neppure di fronte alla pari disumanità di Hitler e di Stalin, ampiamente comprovata dalla Storia, il globalista ha la forza o il coraggio di osservare il punto di tangenza tra l’estremismo di destra e quello di sinistra. Sembra che l’unica cosa che conta sia gingillarsi con la favoletta tutta americana dei liberatori buoni contro gli occupanti cattivi; oppure, che è lo stesso, degli esportatori di democrazia contro i dittatori.
Il globalista vede il razzismo fuori di sé e lo teme e combatte, ma non vede l’omologazione di gregge che patisce e al tempo stesso difende, non avendo altro in cui confidare se non in una “anima di gruppo”. Chi più degli ex comunisti è incline a cercare la propria identità in un contenitore collettivo e massificante com’era quella sorta di madre surrogata LGBT chiamata “Partito”?
Il globalista muove dallo stadio animale, che è appunto quello dei branchi e delle razze, ritenute superiori alle singole individualità. Egli ragiona per razze e non vede altro che razze. In senso antroposofico, egli è rimasto fermo all’epoca atlantidea, a prima del Diluvio Universale, dove le razze significavano ancora qualcosa in senso spirituale. L’epoca postatlantica, culminante nel Mistero del Golgotha, segna al contrario un’inversione di tendenza. Tutta la storia del popolo ebraico, legato alla razza come nessun altro, è guidata – paradossalmente? – da quell’Unico Dio che si manifesta infine nella carne e il cui Nome è Io-Sono. Nazismo e Sionismo sono movimenti identici e speculari che procedono in senso retrogrado ed involutivo: indifferenti all’Unico Dio e affezionati anacronisticamente alla tribù, germanica o semitica che dir si voglia e ad un Pantheon di idoli a cui sacrificare animali e anime pure.
Il globalista fonda la propria ideologia sull’odio e non vede che odio razziale. Però è inconsapevole, quindi proietta tutto ciò che lui stesso è sul nemico ideale: la nemesi nazifascista. Ci si può spingere addirittura a pensare che le élites abbiano creato apposta il mostro nazifascista per poi poterlo abbattere e far credere in tal modo che il pericolo sia passato una volta per tutte e che se dovesse semmai ripresentarsi, lo farà esattamente nella stessa forma a braccio teso. Del resto l’arte di dissimularsi distraendo l’attenzione dal proprio agire è caratteristica tipica del Maligno.
Ma torniamo al nostro personaggio infatuato. Chissà come mai il globalista, nel bel mezzo della “pandemia”, ha accolto con trasporto consolatorio espressioni che gli ricordavano finalmente le bestie, come “immunità di gregge” o “vaccini”? Questa passione per la pastorizia non conduce però il globalista ad un’atteggiamento abelita, ma alla logica marxista che antepone la salute pubblica alle scelte del singolo e a quella scientista che antepone la medicalizzazione della società alla capacità di giudizio individuale. Non deve a quel punto stupire che il virologo abbia soppiantato senza tanti complimenti il filosofo.
Il globalista, o “democratico” di sinistra, è un finto buono (azzeccata l’espressione “buonista”, nonostante le proteste dei buonisti) dalla cattiva coscienza: ama il diverso non per magnanimità, ma solo per snobismo e curiosità morbosa verso ciò che suona esotico ai suoi occhi ciechi per il senso profondo della propria tradizione culturale occidentale e di conseguenza pure per il proprio trascendimento individuale nel compito superumano indicato da Cristo. Il Cristianesimo infatti è “superumanesimo”: tutt’altra cosa che il “superomismo” o il “transumanesimo”.
Quando il globalista si definisce cristiano – o si appella a valori cristiani -, forse crede nel Gesù terreno, nell’umile falegname di Nazareth, nel poveraccio spiantato di cui parla Bergoglio quando spiega l’omousia come l’incrocio imbastardente tra uomo e Dio, in un Gesù sofferente sulla Croce né più né meno dei due ladroni; ma ignora certamente il Cristo Cosmico e Redentore. Questa inettitudine fa sì che egli si crogioli nel sentimentalismo e nel moralismo tipici di chi non sa cogliere il significato spirituale e la portata salvifica del pensiero occidentale quando venga congiunto con quella Sorgente di Vita capace di ricostruire a nuovo la realtà fin nel suo aspetto materiale.
Il globalista, materialista, non può nemmeno concepire un Nuovo Mondo di equità, prosperità e Verità e, pur influenzato dallo Spirito del Tempo, Michele Arcangelo, non sa muoversi che in modo subconscio rispetto alla Sua ispirazione cosmopolita: abortendola in uno squallido progetto geopolitico unipolare, al tempo stesso nazista e comunista, rispondente ad un egoismo di gruppo – al delirio di onnipotenza di pochi – che egli chiama Nuovo Ordine Mondiale (ora anche senza “nuovo”, visto che questa formuletta la usava già Bush Senior in Iraq).
Il globalista è pure figlio del dualismo: è cioè diabolico (o dem-oniaco, molto più che dem-ocratico) in quanto prigioniero della divisione. Ma come sempre e ancora una volta, essendo costui quello che Rudolf Steiner avrebbe chiamato un “realista ingenuo”, non vede il diavolo in sé, ma solo fuori di sé. Infatti chi, come il materialista, crede che sia reale solo ciò che cade sotto i suoi sensi fisici, deve per forza poter vedere proiettati fuori di sé anche i contenuti della propria anima, che in quanto tale per lui non esiste: attribuendoli pertanto non a sé, ma all’altro.
Il globalista in sostanza e alla radice patisce in modo inconsapevole proprio la sua impotenza conoscitiva nei confronti della realtà e la perseveranza in questa latente frustrazione, unita all’arroganza di volerne imporre a tutti le inconsistenti motivazioni filosofiche, si traduce alla lunga in una vera e propria decadenza morale, che può sfociare in ultimo nelle forme più aberranti di depravazione.
Così, passo passo, la radicalizzazione delle istanze globaliste può condurre direttamente nel campo della magia nera.
Foto: Idee&Azione
22 aprile 2023