di Daniele Trabucco
Nelle tragedie di Eschilo compare spesso il tema dell’hybris quale causa della catastrofe della vita dell’uomo. È la sua tracotanza, intesa come superamento del limite consentito, che determina le sciagure umane e impedisce il riconoscimento della finitezza, provocando in questo modo l’«ira degli dei».
Il post-umanesimo, la versione filosofica del transumanesimo, ne è l’ultima manifestazione in quanto, raccogliendo l’eredità del post-strutturalismo, intende togliere l’uomo dalla scala naturae aristotelica sulla quale si è fondato il pensiero occidentale. Questa ideologia «luciferina» rimescola i dualismi (femmina-maschio/biologico-tecnologico etc…) e favorisce le ibridazioni (teoria gender ad esempio) e le contraddizioni in una logica inclusiva ed olistica. L’umano, dunque, perde le caratteristiche dell’essenza per divenire una sorta di «ospitalità». Post-umana è così l’immagine della transizione, della molteplicità, del rifiuto definitorio di ogni assunzione, di un centro gravitazionale intorno a cui fare orbitare le alterità.
Da qui, però, la domanda: come si può sostituire l’amore con il perfezionismo e la tecnologia? E la salvezza cristiana con una versione secolare di immortalità prodotta dall’uomo che è una non-salvezza? Nonostante gli sforzi dell’uomo, Dike vuole che gli dei puniscano sempre l’hybris umana. Infatti, la negazione, da parte del post-umano, di qualcosa presuppone sempre l’esistenza di ciò che viene negato la quale, in quanto è, non può mai essere altro da sè. Gli uomini hanno dimenticato questa verità.
Foto: Idee&Azione
5 giugno 2021