di Massimo Selis
Se vi è una condizione che sottende ogni operare dell’uomo nell’era moderna, questa è senz’altro la paura. Paura che rimane come causa nascosta dietro i “sintomi” quotidiani, ma che talvolta erompe manifesta, vestendo gli abiti della psicosi. Momenti eclatanti che hanno il solo valore di servire come segnali nella notte, per decriptare la costante espressione di quello stato di paura. Nel grande palcoscenico dell’universo, dove però il regista ha abbandonato la compagnia, l’uomo contemporaneo teme di essere solo un’inutile comparsa e così si sforza in ogni maniera per cucirsi addosso una parte che lo consegni, nel bene o nel male, alla storia.
La paura è sempre legata alla perdita. Un presagio di un imminente futuro che si deve allontanare. E se agiamo soltanto come se dovessimo evitare di perdere qualcosa è perché in verità abbiamo già perso la cosa essenziale: non avvertiamo più l’unità del cosmo e l’unità dell’uomo col Tutto. L’ansia genera paura e la paura si tramuta in violenza, volontà di affermazione, chiusura al Mistero, controllo.
Gli ultimi due anni hanno mostrato in maniera impietosa come la quasi totalità delle persone vivesse nella più completa rimozione della morte. Non è stato quindi per nulla difficile soggiogarle alimentando la paura, così che ogni briciolo di ragionevolezza scomparisse. Ma dall’altra parte si è assistito ad un movimento oppositivo capace solo di puntare i piedi per ciò che gli era stato tolto ingiustamente, come un bambino che subisce dei soprusi da coetanei più forti di lui. In fondo, lo sguardo era – ed è ancora, purtroppo – rivolto solo al passato dove dimoravano tutte le proprie certezze, le proprie abitudini di vita e mentali. Poi la guerra, che insieme ai palazzi abbatte più di ogni altra cosa l’illusione che un certo mondo possa durare per sempre. È la paura che fa schierare dalla parte di coloro che rappresentano l’orizzonte conosciuto della nostra società, poiché se si frattura questo mondo, va in pezzi anche la nostra identità, e questo non possiamo permetterlo.
Non è banalmente un sentimento, la paura di cui noi parliamo, quanto la conseguenza di un’inversione nel dinamismo spirituale che genera appunto un essere rachitico, privo di intelletto e in balìa dei mutamenti fenomenici. L’idea di una “società del controllo”, il cui progetto viene portato avanti con alacrità da diverso tempo risponde proprio a questa paura. La scienza, l’informazione, la cultura propagandano certezze, come se là fuori ci fosse una realtà prima da decodificare e poi da possedere. In un universo che si è ridotto al risultato del caso, l’uomo moderno è disposto ad accettare forme sempre più invasive di controllo, e la tecnologia è l’infernale strumento per materializzarle. Più infatti l’uomo si degrada spiritualmente, più diventa una monade che abbisogna di confini mentali sempre più stretti così che non cada nella pazzia.
L’uomo di oggi guarda il cielo e sente di essere isolato su un piccolo pianeta il cui destino, un giorno, sarà quello di non venire più riscaldato dai raggi del sole; e quei punti luminosi che brillano nella notte non crede più che abbiano una relazione con la sua vita. Nell’infinita confusione dell’universo, l’uomo è divenuto un essere senza relazione, un essere solo.
Gli antichi al contrario guardavano al mondo (cosmo) per leggere l’uomo. Essi avvertivano l’unità dell’uomo col tutto. Il primo libro scritto dall’Altissimo, molto prima della Rivelazione, è il Libro Muto dell’Universo, un perfetto mosaico di simboli, sgabelli su cui l’intelletto deve poggiare per ascendere alle verità divine. Conoscere le leggi del cosmo significava quindi conoscere le medesime leggi che governano l’uomo e da esse derivare infine le leggi morali.
Nel ricercare il principio vitale, essi identificavano, al di sopra di tutto, un principio primo (Dio), e subito dopo dei princìpi secondi (anime). Proprio l’anima è la forza che muove il creato, una forza che ha una dinamica di progressione. In modo similare, anche la sintesi biblica esprime questa verità. Per entrambi, il mondo era ordinato e governato da “spiriti intelligenti”: gli antichi li chiamavano dei olimpici, i cristiani Angeli. Da qui traevano la loro profonda sicurezza, questa sì di natura spirituale, poiché la stessa animicità reggeva il Cielo e la Terra.
La nostra pseudo-cultura scientista non ci fa più cercare il principio vitale, cosicché pretendiamo di intervenire sulla vita senza sapere minimamente cosa essa sia. Sezioniamo i fenomeni superficiali ignari di quale sia la forza unitiva che tutti li governa. E questo ci rende insicuri anche se lo neghiamo ostinatamente.
Davanti agli sconvolgimenti che hanno dato inizio al tempo della «grande tribolazione», occorre recuperare questo sguardo “antico”, l’unico in grado di ridonare lucidità di pensiero, costanza al coraggio e tempismo nel cogliere la grande chiamata alla purificazione e conversione che si attuerà nel fuoco (ekpyrosis).
Il mito di Amore e Psiche racconta che i due amanti si incontravano ogni notte e ardevano di passione, ma lui nascondeva alla bellissima fanciulla il suo volto. Psiche però una notte accese una lampada e finalmente vide il volto del suo amato. La luce di questa lampada sta a significare che per riconoscere e cogliere la forza che regge e dona equilibrio al tutto (Eros), è necessario accedere ad una dimensione superiore della mente. Soltanto completando il cammino del “farsi anima” l’uomo scopre che è «l’Amor che move il sole e l’altre stelle».
Allora nessuna ingiustizia, nessuna guerra, nessun cataclisma ci turberà nel profondo, perché dietro il velo, leggeremo la trama di unità che sostiene il cosmo e guida la Storia verso il suo compimento. Certo la “carne” sarà messa a dura prova, perché si verrà chiamati a “prendere posizione”, e ad essere oltraggiati e combattuti per questo, ma mentre la terra subirà scossoni e le immagini del vecchio mondo cadranno una ad una come scheletri senza vita, noi saremo in piedi e in pace perché avremo vinto la paura del Cielo.
Foto: Raffaello, Banchetto di nozze di Amore e Psiche, Villa Farnesina, Roma
28 febbraio 2022