di Paolo Borgognone
L’eurasiatismo è la stella polare dell’agire politico di tutti coloro i quali si richiamano all’antiglobalismo. Oggi più che mai, di fronte alla nuova offensiva atlantista in corso, guardare a Oriente è una necessità non solo filosofica e spirituale, ma anche politica! L’offensiva che ho menzionato si articola su diversi paradigmi (militare, politica, simbolica).
Vorrei soffermarmi, nel presente articolo di benvenuto al sito Idee&Azione (a mio parere un essenziale laboratorio politico-culturale di opposizione frontale e radicale al globalismo declinate ma ancora pericoloso), sulle questioni relative all’offensiva culturale portata avanti dal mainstream globalista nei confronti di ogni altra forma di espressione politica, culturale, identitaria. Il cosiddetto mercato editoriale per ceti borghesi “colti” (ossia, istruiti a obbedire alle direttive globaliste in ogni ambito) trabocca di materiale russofobo, sinofobo, acriticamente schierato sul versante della promozione di quella cancel culture che oggi si configura come il nuovo paradigma ideologico della postmodernità.
Il 90% dei testi pubblicati invita a pensare la storia come una lunga marcia dei popoli verso il proprio imborghesimento liberale. La rivoluzione francese ci viene descritta come una sollevazione di poveri che chiedevano “più mercato” e “più libera iniziativa capitalistica privata”, e di donne che in questo “mercato capitalistico nascente” intendevano tuffarsi per potersi “emancipare” dal patriarcato dominante. La rivoluzione russa ci viene invece raccontata come una sorta di compimento dell’inferno in Terra. Tutto ciò che ha a che vedere con la storia russa, dalle sue origini a oggi ci viene descritto, dal mainstream, alla stregua di una lunga marcia verso gli abissi del terrore, del sottosviluppo, della dittatura di un sol uomo nei confronti di un popolo reticente, del dispotismo di una violenta burocrazia di Stato nei riguardi di una borghesia liberale “innocente” a cui né gli zar nè i leader del PCUS né Putin avrebbero permesso di liberare le sue forze “creative” e “democratiche”.
L’obiettivo di fondo di questa offensiva culturale russofoba è distruggere il katechon, la forza che frena l’avanzata della Fine capitalistica della Storia. L’eurasiatismo si pone come obiettivo salvaguardare il katechon, la Terza Roma, l’idea di blocco geopolitico e culturale contro-egemonico. Siamo di fronte a una guerra culturale ed esistenziale senza precedenti. Mai come in questa fase si confrontano due diversi modi di intendere le relazioni non solo politiche ma anche esistenziali: da una parte il mondo liberal, sempre più incardinato verso la deriva capitalistico-autoritaria-neo-curtense; dall’altro il mondo anti-liberale, o non-liberale, impegnato in una battaglia di sopravvivenza contro-egemonica. L’eurasiatismo è la prospettiva obbligata, perseguita e motivata di tutti coloro i quali si pongono in una prospettiva anti-globalista. Non si può essere anti-globalisti sul piano politico a prescindere dell’adesione all’eurasiatismo sul piano geopolitico. Chi si pone, sul piano politico, l’obiettivo di unire le periferie anti-liberali contro il centro liberal-borghese può essere credibile solo nel momento in cui fa dell’eurasiatismo l’orizzonte geopolitico, la naturale prosecuzione sul terreno del discorso riguardante le relazioni internazionali, della sua battaglia politica.
In questo senso, la lezione di Aleksandr Gel’evic Dugin rimane di profonda e radicata attualità. Multipolarismo geopolitico, eurasiatismo anti-egemonico e illiberalismo politico sono i cardini delle idee e delle azioni di chiunque intenda perseguire una battaglia culturale, politica o metapolitica, di taglio anti-globalista. Anche per questa ragione, compito di chi si rifà all’anti-globalismo è quello di portare avanti una coerente e imprescindibile battaglia storiografica per restituire agli Stati ribelli il loro posto sugli altari della Tradizione e della Memoria storica.
Foto: Idee&Azione
5 giugno 2021