di René-Henri Manusardi
Il Dalai Lama, le neuroscienze, le discipline neuromeditative
La “neuroscienza della meditazione” (Gyatso 2005), definizione con cui il Dalai Lama ha voluto sottolineare ai neuroscienziati l’importanza della loro ricerca nella relazione tra cervello, meditazione e stati di coscienza, rappresenta una materia di studio nei cui confronti ancora oggi la scienza ufficiale non ne ha colto l’essenza, avendo nei confronti della meditazione idee parziali teoricamente apologetiche, scientificamente confuse nonché affette dal riduzionismo psicoterapico dell’inconscio, già da noi illustrate in precedenti articoli. Nonostante questo atteggiamento diffidente dello scientismo nei confronti della meditazione, attualmente sempre più minoritario in quanto schiacciato dall’evidenza delle ricerche neuroscientifiche in atto, nel campo della Filosofia olistica, della Psicologia transpersonale e della Sociologia clinica, da molti decenni l’attenzione verso i sistemi meditativi tradizionali ha prodotto vantaggi in ordine alla salute e al benessere individuale e collettivo. Seguendo questa linea di pensiero e di azione, ci sembra doveroso chiarificare la relazione esistente tra Sociologia clinica e Meditazione, o meglio tra Sociologia neuromeditativa e neuroscienza della Meditazione, quindi sorge spontaneo mettere in chiaro i due elementi di questa relazione, spendendo qualche parola attorno alla loro struttura.
Per prima cosa, dobbiamo osservare che la Sociologia neuromeditativa nasce come una delle tante risposte sperimentali all’impulso che le neuroscienze continuano ad attivare nei confronti delle discipline umanistiche e scientifiche, riguardo le nuove scoperte che hanno come centro d’attenzione la coscienza, il cervello e la sua complessità strutturale. Di fronte a tale complessità di azione e di risposta cerebrale, ad esempio all’interno degli eventi criminogeni legati al Disagio sociale e soprattutto al Disagio giovanile, ecco che la Sociologia neuromeditativa assume anche la veste di scienza d’ausilio forense collocandosi, fedele alle sue origini e alla sua tradizione, quale strumento di profonda comprensione socioclinica degli atti criminali, che la porta pragmaticamente a spostare in modo deciso il suo focus da prospettive ancora vagamente lombrosiane e giuridicamente punitive (a volte ancora presenti nella criminologia tradizionale), all’adesione in toto al credo redentivo della restorative justice, almeno dove la portata dell’evento criminale lo permette.
La neuroscienza della Meditazione, rappresenta invece il risultato dello studio neuroscientifico che dagli anni ’50 del XX Secolo ad oggi continua a coinvolgere attivamente i sistemi meditativi insiti nelle religioni tradizionali come yoga, meditazioni induiste advaita e trascendentale, meditazioni di area buddhista zen, tibetana, theravada, meditazioni energetiche taoiste statiche nonché dinamiche quali tai qi quan e qi gong, meditazione cristiana di silenzio e di contemplazione. Le neuroscienze hanno analizzato attraverso apparecchiature elettrofisiologiche (ECG, TAC, RMN, fMRI ecc.) tutto questo bagaglio di Tecniche Neuromeditative (TNM) praticate da monaci e da laici durante le sedute di meditazione, facendo osservazioni e sperimentazioni in merito agli stati di coscienza con i correlati neuronali, all’aumento della neuroplasticità cerebrale, agli effetti neurosociopsicologici della meditazione sul cervello, agli effetti della meditazione sulla salute, sulla relazione interpersonale e sul comportamento sociale.
Dallo studio neuroscientifico dei sistemi meditativi, ora appare più chiara la relazione tra Sociologia neuromeditativa e neuroscienza della Meditazione, in quanto quest’ultima inglobata totalmente nella prima, accelera lo sviluppo di qualità umane e professionali che abbiamo già approfondito nell’articolo La Grande Guerra Santa del Soggetto Radicale (Link: https://www.ideeazione.com/la-grande-guerra-santa-del-soggetto-radicale/), e che ora possiamo sintetizzare in un aumento esponenziale a breve/medio termine delle facoltà superiori di ordine intuitivo, empatico e di resilienza che si accrescono nel costante esercizio delle Tecniche Neuromeditative, sviluppando la facoltà della Conoscenza a livelli decisamente superiori.
L’Intuizione, strumento di conoscenza della Sociologia neuromeditativa
Il tema della Conoscenza, rappresenta uno dei contenuti teorici e pratici che accomuna così tanto Sociologia clinica e Meditazione, da dar luogo al felice connubio della Sociologia neuromeditativa quale prassi investigativa delle sociopatologie criminogene basata sulle neurostrutture proprie della coscienza. Infatti, se la conoscenza sociopatologica dei crimini è materia propria della Sociologia clinica, così la profonda conoscenza di sé stessi e la risoluzione dei problemi di equilibrio personale e relazionale formano il contenuto proprio della ricerca meditativa. Quindi, la Sociologia neuromeditativa rappresenta un lavoro su sé stessi, necessario a far emergere attraverso le Tecniche neuromeditative (TNM) quelle strutture della coscienza che poi saremo in grado di usare ampiamente nell’indagine sociopatologica, quale ausilio per la identificazione dei casi criminosi.
Riguardo il contenuto proprio della Conoscenza, Aristotele ne identificò due percorsi: il più alto è l’intellectus ossia l’intuizione (denominata percezione intuitiva dall’esperienza meditativa socioclinica), mentre in seconda posizione sta la logica formale. Lo psicologo clinico Marcello Orazio Florita ci ricorda che:
«Aristotele, per esempio, credeva nell’esistenza di una forma di conoscenza vera, l’epistéme, attraverso il quale è possibile cogliere l’essenza della realtà. Quindi per Aristotele l’epistéme rappresenta la forma di conoscenza più certa e più vera, contrapposta all’opinione. Aristotele distinse due percorsi conoscitivi: al livello più alto c’è l’intuizione intellettuale, capace di “astrarre” l’universale dalle realtà empiriche. L’intuizione intellettuale si ha quando l’intelletto umano, non limitandosi a recepire passivamente le impressioni sensoriali dagli oggetti, svolge un ruolo attivo che gli consente di andare oltre le loro particolarità transitorie e di coglierne l’essenza in atto. Il secondo procedimento è quello della logica formale, di cui Aristotele è stato il primo teorizzatore in Occidente, e da lui enunciata nella forma deduttiva del sillogismo». [1]
F.C. Happold (1893-1971), docente ed esperto di misticismo, luminare dell’istruzione nel Regno Unito, precorrendo di decenni i dibattiti attuali sull’intuizione, già negli anni ‘60 del ventesimo secolo, chiariva la sua importanza per l’avanzamento della conoscenza scientifica e dell’idea stessa di Scienza:
«Il nostro modo di pensare è il risultato dell’eredità culturale e dell’ambiente. L’eredità culturale degli europei occidentali ha le sue radici nella Grecia classica dove per la prima volta si sviluppò e si portò a un alto stadio di perfezione la capacità di ragionamento logico. Forse i migliori risultati della civiltà europea occidentale si sono avuti nel campo della scienza. Poiché l’analisi e la logica si sono dimostrate strumenti così efficienti per il progresso della conoscenza scientifica, si è manifestata la tendenza, fra gli eredi della cultura europea occidentale, a considerarle sempre di più gli unici strumenti validi di conoscenza. Ma esse non sono affatto gli unici mezzi di conoscenza. I nostri antenati del medioevo riconoscevano validi due metodi di conoscenza. Il primo era fondato sulla ratio, cioè la ragione discorsiva; e il secondo sull’intellectus. La parola intellectus non è di facile definizione. Essa indicava qualcosa di simile alla intuizione, alla visione creativa o all’immaginazione, nel senso in cui Blake usava questo termine. L’intellectus era considerato una facoltà mentale più elevata della ratio; l’unica in grado di portare l’uomo a una conoscenza più profonda di quella ottenuta attraverso la ragione discorsiva. Questa facoltà dell’intuizione, della visione creativa, della immaginazione, o di come la si vuol chiamare è stata variamente riconosciuta non soltanto dai mistici, dai poeti e da molti filosofi, ma anche dagli scienziati. Max Planck, uno dei più eminenti rappresentanti della fisica quantistica scriveva nella sua autobiografia: “Quando nel campo della fisica il pioniere cerca la strada a tentoni, deve possedere un’immaginazione vivida, intuitiva, perché le nuove idee non nascono per deduzione, ma attraverso una immaginazione artisticamente creativa”. Le più grandi scoperte in ogni campo della conoscenza trovano la loro origine nelle intuizioni di uomini di genio. Attraverso l’intuizione essi vedono, talvolta in un flash, cose che gli altri uomini non hanno mai visto; riescono a scorgere relazioni che altri non hanno afferrato, fra fenomeni apparentemente isolati; raggiungono conoscenze che non avrebbero potuto ottenere in nessun altro modo. Come possano nascere questi lampi d’intuizione, è difficile dirlo. Nel processo dell’analisi logica e della deduzione, la mente passa da un punto all’altro, compie un determinato sforzo e gli stadi del pensiero possono essere analizzati. Invece, i lampi d’intuizione si presentano spesso come una specie di rivelazione che proviene dall’esterno. La mente, spesso in uno stato di passività, compie un balzo improvviso. Ciò che prima era oscuro diventa chiaro. I frammenti sparsi trovano la loro sistemazione, vengono ordinati e compongono un disegno (…)». [2]
«A differenza dei materialisti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, gli scienziati del ventesimo secolo non pensano più che la loro disciplina sia onnicomprensiva, giacché abbraccia tutto ciò che esiste in cielo e in terra. Essi riconoscono che il loro dominio è confinato entro limiti relativamente ristretti. I risultati delle recenti ricerche scientifiche li hanno portati a concludere che è necessario prendere in considerazione ordini di realtà che non sono riducibili alla tecnica e al vocabolario della scienza. Essi hanno scoperto che le realtà fisiche non possono più venire adeguatamente descritte nei termini delle immagini e dei modelli macroscopici. La materia ha cessato di essere quell’entità solida degli scienziati del diciannovesimo secolo. Essa si è dissolta nell’energia, una cosa che non è conoscibile in sé stessa, ma solo attraverso i suoi effetti. Si è anche accettato che l’osservatore sia, in qualche modo, una parte di ciò che osserva. Di conseguenza, la fonte della conoscenza scientifica è, almeno in parte, lo scienziato stesso. Nella fisica, la vecchia concezione di uno spazio tridimensionale che passa simultaneamente, momento per momento, attraverso il tempo, è stata abbandonata in quanto immagine inadeguata rispetto alle nuove conoscenze scientifiche. Il tempo è diventato un mistero, avendo in sé stesso qualche ingrediente dello spazio. Lo scienziato concepisce oggi l’universo come un continuum spazio-temporale multi-dimensionale (in un continuum i vari componenti passano senza sosta l’uno nell’altro). Egli non considera ciò inaudito, anzi; sembra accordarsi con la sua esperienza – sia come uomo che come scienziato – il fatto che nelle regioni della personalità poste fuori dal dominio della coscienza normale le categorie di spazio e tempo siano inadeguate e che l’uomo nella sua interezza viva in una dimensione che comprende l’infinito. Il mondo dell’esperienza normale può essere considerato un’illusione, non nel senso che non esista o che sia una pura apparenza, ma nel senso che ciò che si percepisce è solo una parte di un più grande tutto ed è, parzialmente o completamente, la costruzione mentale di un gruppo limitato di percezioni». [3]
L’antropologa Robbie Davis-Floyd e la collega ostetrica Elisabeth Davis, ci offrono invece una interessante panoramica del decorso neuroscientifico degli studi sull’intuizione:
«L’American Heritage Dictionary (1993) definisce l’intuizione come: “l’atto o la facoltà di sapere o sentire senza fare uso di processi razionali; cognizione immediata” (…). È infatti assodato come “non vi sia creatività nella scienza, o meglio in nessun campo dell’attività creativa, che non implichi l’intuizione” (Laughlin 1997; Bastick 1982; Hayward 1984; Jung 1971; Poincaré 1913; Slaatte 1983; Vaughn 1979; Weil 1972; Westcott 1968). Perché quindi l’intuizione è così svalutata in Occidente? Come evidenziato da diversi studiosi in scienze sociali (Martin 1987; Merchant 1983; Rothman 1982), le metafore di tipo meccanicistico utilizzate per parlare della terra, dell’universo e del corpo, hanno iniziato ad acquisire importanza culturale sin dai tempi di Cartesio. Il ragionamento consapevole deduttivo, che può essere logicamente spiegato e al quale si può logicamente replicare, è la forma di pensiero più simile a quella della macchina. Quindi in Occidente i processi raziocinanti – “raziocinare” significa “ragionare con metodo e con logica” – sono reificati e spesso lo sono in termini di regole normative (Rubinstein 1984; Beth e Piaget 1966). Al contrario, l’intuizione fa riferimento alla nostra esperienza di risultati ottenuti attraverso processi cognitivi profondi, che avvengono inconsapevolmente e che non possono essere spiegati logicamente o riprodotti. Laughlin (1992, 1997) sostiene che l’intuizione sia neurognostica – inerente alla struttura di base del sistema nervoso centrale umano, il che giustificherebbe le caratteristiche universali dell’esperienza intuitiva. Egli suggerisce che il linguaggio e le concomitanti strutture concettuali raziocinanti non si siano sviluppate a tal punto da riuscire a esprimere l’intero sistema cognitivo umano e a comprendere tutte le sue operatività, ma solo quelle rilevanti per l’adattamento sociale, notando come il tipo di conoscenza che può essere espressa dalle strutture linguistiche e concettuali del cervello umano sia superficiale rispetto ai processi neurocognitivi più profondi “dai quali dipende la conoscenza nel suo significato più ampiamente creativo”. La ricerca neurofisiologica sulle funzioni complementari dei due emisferi cerebrali ha fatto un po’ di chiarezza sul processo intuitivo. L’emisfero sinistro veicola principalmente la produzione linguistica, il pensiero analitico e il susseguirsi di eventi lineari e causali, mentre l’emisfero destro veicola la produzione di immagini, il pensiero olistico e gestaltico e la modellizzazione spazio-temporale (Bryden 1982; Ley 1983; Sperry 1974 e 1982). Semplificando, si può affermare che il lobo sinistro è in grado di distinguere le parti del tutto, rende quindi possibile il pensiero analitico e la comunicazione linguistica, mentre il lobo destro rende possibile la percezione gestaltica – e difficile da comunicare o analizzare all’interno del nostro sistema linguistico occidentale. Alcuni ricercatori hanno usato questi risultati per suggerire che noi esseri umani abbiamo due modi di coscienza, uno corrispondente a ciò che chiamiamo “ragione”, associato alle funzioni del lobo sinistro e l’altro, chiamato “intuizione”, associato invece alle funzioni del lobo destro (Lee 1976). (…) È importante ricordare che, nonostante il prevalere di un emisfero sull’altro, tutto il cervello è coinvolto in ogni funzione mentale. Una netta divisione funzionale tra gli emisferi avviene solo in soggetti con emisferi fisicamente divisi o danneggiati in conseguenza di incidenti o di operazioni chirurgiche (Sprenger e Deutsch 1981). In un cervello normale e sano, la somiglianza e la riproduzione delle funzioni è molto più comune. Laughlin (1997) sostiene che l’intuizione sia “mediata dalle reti neuronali in entrambi i lobi, non solo in quello destro”. Egli definisce “trascendentali” i processi neurocognitivi che producono l’intuizione, mettendo l’accento sul loro funzionamento transemisferiale e sulla loro capacità di coinvolgere tutto il cervello. Il corpo calloso che svolge il ruolo principale nel far convergere le informazioni da un emisfero all’altro, potrebbe essere molto importante nella genesi dell’intuito». [4]
Il processo della Conoscenza: dalla percezione intuitiva alla riflessione intellettuale [5]
La natura passiva della sensazione, la quale è in grado di lasciarsi permeare dalle percezioni intuitive e quindi di renderle disponibili al reticolo psicosomatico per una loro fruizione e comprensione riflessa, chiarifica altresì come l’intuizione sia il primo modo con cui la coscienza (anima cosciente oppure anima coscienza nella terminologia dell’Antropologia mistica) si manifesta nel suo contenuto di parte sostanziale della realtà antropologica.
La Sociologia neuromeditativa ha, quindi, come referente lo studio della coscienza umana – anche nel suo strutturarsi come intuizione – attraverso l’analisi dei processi con cui la coscienza riesce a cogliere in modo subitaneo ed immediato la realtà non ancora manifesta. Per tal motivo, la Sociologia neuromeditativa si preoccupa di svolgere una indagine fenomenologica della coscienza, vista non tanto prioritariamente nel suo valore di discernimento etico ossia di ciò che è bene e di ciò che è male, né vuole indirizzarsi principalmente all’analisi dei vissuti coscienti, ossia dell’esperienza cosciente rivolta verso il mondo esterno come avviene nella fenomenologia di Husserl.
La Sociologia neuromeditativa si preoccupa invece di procedere ad un’indagine sul fenomeno intuizione quale manifestazione della coscienza stessa, come fenomeno di immediata scoperta del reale, per meglio dire di parti ancora a noi sconosciute della realtà profonda che avvolge il nostro essere e il cosmo. Ossia, il “reale”, compreso alla luce di quella facoltà intuitiva che presiede:
* sia l’individuale consapevolezza di percepirsi come esseri viventi, personali, nonché osservatori della realtà a noi esterna;
* sia la capacità di intu→ire > andare dentro istantaneamente e prima di ogni successivo pensiero chiarificatore, per scoprire quelle leggi di natura che riguardano la nostra interiorità umana, come quelle correlate alla scoperta di nuove verità scientifiche o di abilità e strumentazioni tecniche.
Quindi, l’intuizione si connette profondamente con la creatività e con l’immaginazione, sia che l’uomo scopra nuove conoscenze in qualità di genio, sia che crei cose nuove nella veste di inventore, sia che operi sulle realtà esistenti come trasformatore.
Il processo della Conoscenza – che originando dall’intuizione al di sopra delle ordinarie facoltà mentali ci aiuta a scoprire in modo più amplio sia la realtà interiore soprarazionale dell’uomo sia quella esterna della natura – nella ricerca socioclinica neuromeditativa, si dipana successivamente secondo un itinerario di declinazione neuroantropologica discensionale ben definito e consequenziale. Possiamo riassumere con criterio fenomenologico, l’integralità discendente del processo della Conoscenza, così come segue:
- Percezione intuitiva da parte della coscienza di una parte ancora non svelata della realtà, di una idea, intesa come verità simbolica e improvviso sprazzo di luce interiore: viene conosciuta come “genialità” dal lat. gìgnere –nascere, e si manifesta come una folgorazione, dal lat. fulgeo –risplendo e dalla radice indoeuropea luc-luk –splendere.
- Visione iconica susseguente di questa idea-verità-simbolo, contemplata dalla coscienza come figura dinamica e vivente: viene conosciuta col termine greco idèa, da idèin –vedere, lat. vidère, indoeuropeo -vid, sanscrito -ved. (Da qui il termine Visiologia dato alla parte fenomenologica della Sociologia neuromeditativa propria della coscienza durante la meditazione, dal lat. visio = visione).
- Sensazione ecostrutturale di risonanza vibratoria neuroreticolare discendente dell’idea-verità-simbolo a tutta la matrice somatosensoriale: dal gr. ècheo –risuono, per cui il corpo e la mente ne sono invasi e saturati.
- Penetrazione e comprensione intellettuale della idea-verità-simbolo: mutazione della risonanza vibratoria in parola dal gr. Parabàllό, –metto (bàllό), –in confronto (parà), che corrisponde nella sua sostanza alla esclamazione greca Eùreka = Ho trovato, di Archimede pitagorico.
- Elaborazione razionale dell’idea (riguardo a realtà non materiali), o creazione artigianale dell’idea (riguardo a realtà materiali): messa in opera della realtà percepita e vista in modo discorsivo attraverso il pensiero e lo scritto, o immaginativo attraverso il disegno progettuale.
Si passa così ad una declinazione dal territorio non ordinario della coscienza/intuizione (punti 1 e 2), a quello ordinario della sensazione psicosomatica e della riflessione mentale (punti 3, 4 e 5), ossia alla nostra modalità usuale di “apprendere”, permeata contemporaneamente sia di razionalità oggettiva basata sull’astrazione (esercizio della ragione ossia pensiero discorsivo, memoria, volontà), sia di vissuto soggettivo fondato su un continuo feedback tra mente e corpo (sensibilità, emotività, affettività, sentimenti). Ossia quel “sentire” integrato di normalità psicosomatica, che ci permette di recepire, razionalizzare e rapportarci con la realtà che ci circonda.
Questo schema di indagine fenomenologica, pur descrivendo un percorso discendente oggettivamente reale, rispecchia un modello investigativo tipico della Sociologia neuromeditativa, la quale integra e amplia il concetto di intuizione proprio della fenomenologia husserliana e steiniana. Quest’ultima, considera l’intuizione come il metodo di indagine riflessiva per “ritornare alla realtà delle cose, tornare alle cose stesse”, sospendendo ogni giudizio (epochè), quindi senza filtri ideologici o schemi mentali precostituiti e per arrivare così alla “essenza delle cose stesse” che sono oggetti “altri” rispetto al soggetto osservante, alla luce di una relazione soggetto-oggetto sperimentata nell’empatia [6]. La Sociologia neuromeditativa, riceve senza eccezioni nel suo metodo di analisi del reale questo procedimento di ricerca riflessiva tipico della fenomenologia, riaffermato attualmente dalle neuroscienze non riduzioniste e, in particolare, dalla neurofenomenologia. Tuttavia la Sociologia neuromeditativa rimette in campo la scientificità del concetto di intuizione come evento improvviso di illuminazione interiore, che si incarna poi nel reticolo psicosomatico con lo schema discendente precedentemente proposto. I concetti di luce interiore o illuminazione e quello di visione o contemplazione, legati alla percezione visiva del fulmineo avvenimento verificatosi nel regno ultramentale della coscienza, attraverso il “senso” della vista rivolto verso l’interno del proprio essere, fanno sì che la Sociologia neuromeditativa sia una reale indagine critica riflessa susseguente l’evento dell’Insight scaturito nel clima di vacuum state proprio della meditazione silenziosa. La Sociologia neuromeditativa, nella sua parte fenomenologica detta appunto Visiologia, si qualifica dunque quale riflessione critica ex post della coscienza come essenza e del modo in cui la coscienza opera manifestando sé stessa.
Anima, Coscienza, neuroscienza e pratica socioclinica
Abbiamo già parlato della necessità dell’intuizione nell’indagine socioclinica, accennando che l’intuizione è una struttura della coscienza: ma che cos’è la coscienza? Nell’ambito delle discipline ad indirizzo neuroscientifico, la Sociologia neuromeditativa per quanto riguarda la realtà della coscienza si colloca al fianco della neurofenomenologia, verificando attraverso una riflessione critica ex post di taglio socioclinico, fenomenologico e antropologico, quella “manifestazione della coscienza” in itinere che avviene nel corso delle tecniche neuromeditative. La ricerca socioclinica, opera quindi una scansione sulla realtà concreta della “auto-coscienza” e su quella della “neuroscienza della meditazione” (Gyatso 2005), più che dare un contributo semplicemente teorico al “problema difficile della coscienza”. Un dilemma, quest’ultimo, che attanaglia da decenni il mondo accademico interdisciplinare, perché esso si limita ad analizzare la realtà della coscienza solo nella prospettiva riduzionista di “produzione neuronale”, o in quella antiriduzionista di “vissuto cosciente”. Omettendo nell’uno o nell’altro caso di dare nuovamente alla coscienza stessa uno statuto ontologico ed epistemologico, a causa di una mentalità residuale di tipo scientista di una parte esigua del mondo accademico scientifico attuale, il quale pur non essendo più “maggioranza” tuttavia occupa ancora posizioni di potere influenti che condizionano i risultati della stessa ricerca neuroscientifica, non ammettendo a priori che la coscienza neuroscientifica possa effettivamente coincidere con l’anima della filosofia classica.
I neuroscienziati invece, con le loro ricerche confermate dalle apparecchiature elettrofisiologiche, hanno spesso scompaginato in questi ultimi decenni i paradigmi su cui si appoggiavano discipline come la biologia e la psicologia (soprattutto il cognitivismo e la psicoanalisi), demolendo alcune loro certezze ritenute intoccabili. Tra i nuovi paradigmi neuroscientifici per restare in tema stricto sensu, ci limitiamo solamente a sottolineare: la scoperta dei neuroni specchio e la loro funzione empatica imitativa, il sottodimensionamento dell’inconscio freudiano a favore della memoria genetica e, ancora l’affermazione seppur timida, dell’esistenza della coscienza quale parte sostanziale della persona insieme a corpo e mente, certezza supportata soprattutto dalle ricerche compiute sui correlati neuronali dell’empatia e sugli istanti di coscienza attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che hanno confermato tra l’altro le ricerche sull’empatia della fenomenologia di Husserl e dei suoi allievi, dando luogo tra l’altro alla nascita del movimento della neurofenomenologia.
Dunque, la coscienza è una realtà viva e non un semplice stato della mente. La realtà “coscienza” rimette quindi in pista – dopo il buio originatosi a partire dalla res cogitans di Cartesio alla successiva antropologia filosofica hegeliana e alla psicanalisi freudiana – anzi, ristabilisce effettivamente la realtà antropologica platonico aristotelica dell’“anima”, che nel sostantivo coscienza trova la sua attualizzazione neuroscientifica e nella visione olistica corpo-mente-anima coscienza disvela la compiutezza della realtà della persona umana. La pratica delle Tecniche Neuromeditative (TNM), in concreto ci immerge gradualmente nella realtà dell’anima coscienza. In questo modo, veniamo a conoscere e scoprire la parte più profonda di noi stessi, l’anima coscienza appunto, generalmente sommersa come la cima di una montagna dalle nubi dei bisogni del corpo e della mente (vedi Scala di Maslow) e dalle tormente del conflitto corpo-mente. Un conflitto originato dalla sofferenza esistenziale, che spesso ci impedisce di dominare sia il dolore fisico, sia quello originato dalla mancanza di controllo che spesso percepiamo nei confronti delle sensazioni, delle emozioni, dei sentimenti, delle passioni, dei pensieri, delle paure e delle ossessioni. Ossia quel mancato dominio del cuore e della mente che ci permetterebbe di vivere più calmi, felici e in piena salute, benessere, pace interiore, rendendo più autentica e qualitativa ogni relazione interpersonale e ogni impegno professionale.
Nella pratica socioclinica, l’uso costante delle Tecniche Neuromeditative (TNM) ci porta a vivere nell’anima coscienza attraverso una progressiva immersione meditativa, fino a farci ottenere il suo risveglio, la dimora abituale in essa anche al di fuori dello stesso evento meditativo e il dominio del conflitto corpo-mente. In questo modo le principali strutture dell’anima coscienza da fruire professionalmente ossia intuizione, empatia, penetrazione e consapevolezza, vengono realmente attivate attraverso la pratica del silenzio interiore che genera lo stato di vuoto mentale, definito vacuum state dalla neurofisiologia. Il Sociologo neuromeditativo ne avrà dunque beneficio per la salute e, soprattutto, a mente sgombra e priva di pensieri potrà fare delle rilevazioni investigative di ordine intuitivo, empatico, penetrante e consapevole efficaci e risolutive, che gli permetteranno di attivare poi quella chiarezza mentale necessaria a rendere accessibile in modo razionale, logico e consequenziale la trama espositiva globale degli eventi criminogeni legati al Disagio giovanile e sociale. Inoltre sarà in grado di attuare l’analisi e il trattamento socioclinico della vittimizzazione, del disagio giovanile, della disabilità, della demenza senile nelle sue più varie forme, degli stati vegetativi, della malattia terminale attraverso l’accompagnamento esistenziale, nonché di stabilire una relazione d’aiuto realizzata in clima meditativo e attuata come processo di liberazione interiore finalizzato al recupero del benessere e della salute psicofisica, a tutti coloro che vivono il malessere e la normalità patologica dello Stress (management e common people).
Tecniche neuromeditative, risveglio della Coscienza e abilità sociocliniche
La neuroscienza della Meditazione, attraverso la pratica socioclinica delle Tecniche Neuromeditative (TNM), ha come fine quello di far vivere l’essere umano in modo consapevole nel centro di sé stesso ossia nell’anima coscienza, per avere un completo dominio della mente e del corpo e per far sorgere dall’anima coscienza stessa le sue strutture, quelle per il benessere psicofisico e il dominio di sé nonché quelle per il successo professionale, necessarie per avere una professionalità socioclinica vincente. L’anima coscienza va dunque risvegliata dall’inibizione, dal torpore e dall’agitazione provocati dal perenne conflitto corpo-mente in cui non si riesce ad avere il controllo, ma anzi spesso si è in totale balia delle proprie sensazioni, emozioni, sentimenti, passioni, pensieri, dolori, paure, ossessioni e fobie, i quali sono la causa di molti disturbi neurobiologici e di comportamenti sociopatici e criminali.
Risvegliare l’anima coscienza è quindi un cammino vitale, un processo di liberazione interiore che ha come conseguenza una nuova percezione della vita come anche una nuova consapevolezza nelle relazioni sociali e professionali. Il risveglio spontaneo dell’anima coscienza, come già esaustivamente esplicitato in un precedente articolo, è una cosa rara ed avviene in modo immediato principalmente attraverso l’immersione nella natura, ad esempio davanti alla visione dell’immensità del mare, del silenzio della notte, della maestosa grandezza delle catene montuose, dell’apparente infinità del cielo e delle stelle. L’immersione nella natura, genera così l’insorgenza spontanea di un profondo relax psicofisico, unito ad una comunione profonda con la natura stessa, che possiamo identificare come stato di flusso esistenziale (flow) – esperienza così intensa da farci percepire la realtà di essere in uno stato di simbiosi con il cosmo, mentre le strutture della coscienza sono pienamente attivate, soprattutto intuizione, empatia, penetrazione e consapevolezza.
Al di là di queste rare occasioni, il risveglio dell’anima coscienza e la conseguente attivazione delle sue strutture, vanno pazientemente coltivate attraverso la pratica delle Tecniche Neuromeditative, che propongono un itinerario meditativo basato sulla realtà di natura dell’anima coscienza stessa, itinerario offertoci da una secolare sperimentazione meditativa, itinerario graduale e diviso in tappe successive che non possono essere bypassate in alcun modo e che prevedono un momentaneo e progressivo blackout delle attività mentali ed emotive durante la pratica neuromeditativa. Solo questo itinerario di risveglio dell’anima coscienza ci mette al sicuro dalla mancata conoscenza olistica della struttura umana corpo-mente-anima coscienza che affligge una piccola parte ma ancora influente del mondo accademico scientifico, e ci mette al riparo dall’ignorare la realtà della coscienza così come viene riscoperta dalle neuroscienze. Una ignoranza che travisa poi la natura stessa dell’evento meditativo, permettendo a pseudo esperti di scarsa esperienza di proporlo attraverso tecniche puramente emotive e razionali – come avviene ad esempio non poche volte nel caso della mindfulness e della sua mancata comprensione in termini esperienziali – ed esattamente contrarie a quel blackout mentale ed emotivo de-concentrativo che deve verificarsi obbligatoriamente durante l’evento meditativo stesso.
Concludendo, elenchiamo sinteticamente l’itinerario neuromeditativo di risveglio dell’anima coscienza e di attivazione delle sue strutture:
- Stato di Silenzio interiore. 2. Stato di Immersione. 3. Stato di Vacuità. 4. Stato di Intuizione. 5. Stato di Consapevolezza. 6. Stato di Penetrazione. 7. Stato di Illuminazione. 8. Stato di Assorbimento. 9. Stato di Simbiosi. 10. Stato di Estinzione.
I primi tre Stati di risveglio dell’anima coscienza li abbiamo già descritti in tre articoli precedenti. Lo Stato di Intuizione ci riserveremo di completarlo in un prossimo articolo. Il quinto Stato lo abbiamo descritto nell’Articolo Soggetto Radicale e fenomenologia dell’Immanenza. Infine, i restanti Stati di risveglio saranno oggetto di futuri e mirati articoli.
Sursum Corda!
[1] M.O. Florita, Neuroscienze, clinica e teoria dei sistemi dinamici complessi, Franco Angeli 2011, pp. 29-30.
[2] F.C. Happold, Misticismo. Studio e Antologia, Mondadori 1987, stralci pp. 22-23.
[3] F.C. Happold, Misticismo. Studio e Antologia, Mondadori 1987, stralci pp. 25-26.
[4] R. Davis-Floyd, E. Davis, Sulla natura dell’intuizione: prospettive teoriche, in Annuario di Antropologia n. 12, Nascita, Ledizioni 2010, pp. 23-25.
[5] Tratto con parziali modifiche da R. Manusardi, Visiologia. Un contributo socioclinico alla neuroscienza della meditazione, Primiceri Editore, Padova 2018, pp. 181-185.
[6] Cfr. E. Husserl, Filosofia come scienza rigorosa (1911).
Foto: Idee&Azione
25 maggio 2023