Idee&Azione

Le politiche statunitensi e saudite divergono sullo Yemen

image_pdfimage_print

di Ahmad Al-Hasani

Riyadh vuole uscire dal pantano dello Yemen ed è disposta a porre fine all’assedio delle aree controllate dagli Ansarallah. Washington non ne vuole sapere e sta sabotando un accordo di pace saudita-yemenita.

Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo cruciale nel sostenere la guerra contro lo Yemen a guida saudita sin dal suo inizio, nel 2015. Tuttavia, dopo otto anni di guerra e i drammatici cambiamenti geopolitici avvenuti in Yemen, in Asia occidentale e nel mondo, gli obiettivi di Washington sono ora divergenti da quelli del suo Stato cliente saudita.

Per decenni, Washington ha trattato lo Yemen come il cortile di casa dell’Arabia Saudita. L’unica eccezione a questa regola è stata nel 1994, quando l’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha posto fine alla guerra civile del Paese in collusione con gli Stati Uniti e senza il consenso dei leader sauditi, che sostenevano i separatisti del sud.

Al di fuori di questa occasione, Riyadh è stata lasciata libera di fare dello Yemen ciò che voleva, interferendo costantemente nei processi interni del Paese, rovesciando governi, nominando funzionari e manipolando conflitti tribali.

Durante questo periodo, Washington è intervenuta più di una volta nello Yemen militarmente, sia per “combattere il terrorismo” sia per frenare l’ascesa dell’esercito yemenita in coordinamento con il regime di Saleh. Prima dell’inizio dell’invasione saudita, gli Stati Uniti hanno mantenuto la loro presa sullo Yemen anche per garantire il flusso dei circa cinque milioni di barili di petrolio che passavano ogni giorno attraverso lo stretto di Bab al-Mandab.

Ma una volta iniziata l’invasione saudita, Washington ha svolto un ruolo centrale dietro le quinte per aiutare Riyad a raggiungere rapidamente i suoi obiettivi militari. I pianificatori statunitensi hanno fornito ai sauditi uno spettro completo di attrezzature e servizi: armi di precisione, supporto militare e logistico e immagini satellitari critiche.

Tra il 2010 e l’inizio della guerra in Yemen nel 2015, gli Stati Uniti hanno venduto all’Arabia Saudita armi per un valore di soli 3 miliardi di dollari. Tra il 2015 e il 2020, questa cifra è salita alle stelle, raggiungendo l’incredibile cifra di 64,1 miliardi di dollari, senza contare l’equivalente aumento delle vendite di armi agli alleati sauditi nella guerra in Yemen, come gli Emirati Arabi Uniti (EAU).

Tuttavia, la resistenza yemenita si è presto dimostrata un avversario più capace di quanto la coalizione o i suoi sponsor occidentali si aspettassero. Come ha descritto un funzionario statunitense, sotto la guida saudita la guerra era diventata simile a “un autobus guidato da un ubriaco”. Con l’aggravarsi del pantano, gli Stati Uniti sono intervenuti direttamente nella guerra, collaborando con gli Emirati Arabi Uniti per ottenere il controllo delle province meridionali e della costa occidentale dello Yemen.

L’inizio dell’invasione a guida saudita dello Yemen, nel marzo 2015, è avvenuto pochi mesi dopo che le forze di Ansarallah avevano conquistato Sanaa e spodestato il governo favorevole all’Occidente durante la rivoluzione del 21 settembre. La guerra è stata inoltre lanciata pochi mesi prima che l’Iran e le potenze occidentali firmassero il Piano d’Azione Congiunto Globale (JCPOA), noto anche come accordo sul nucleare iraniano. Temendo che questo passo potesse mettere a repentaglio il sostegno degli Stati Uniti al Regno, Riyadh si è precipitata in guerra, trascinando con sé i suoi alleati – salvaguardando gli accordi di sicurezza e gli accordi di armi e logistica con le aziende statunitensi.

Gli Stati Uniti non erano un co-cospiratore riluttante. Il sostegno di Washington alla guerra avrebbe fornito un impulso senza precedenti alle vendite di armi nazionali e ai servizi logistici che le aziende statunitensi svolgono per le Forze armate saudite (SAAF), contratti che superano di gran lunga il valore delle vendite di armi.

Soprattutto e in totale sintonia con Riyadh, Washington aveva un forte interesse a impedire che Ansarallah prendesse il controllo dello Yemen e lo trasformasse in uno Stato stabile e indipendente in grado di proiettare influenza nella regione del Golfo Persico.

Ma nonostante la spinta iniziale degli Stati Uniti ad aiutare il regno a riprendere il controllo dello Yemen, con il passare degli anni e l’aumentare delle vittime civili – e con il miglioramento delle capacità offensive di Ansarallah, che ha lanciato attacchi missilistici contro città e infrastrutture sia saudite che emiratine – Washington ha iniziato a esercitare pressioni sul regno per raggiungere un accordo di tregua, con una condizione: qualsiasi tregua deve garantire il continuo assedio delle aree settentrionali yemenite sotto il controllo di Ansarallah.

A tal fine, Washington ha nominato il vice assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Golfo Tim Lenderking come inviato speciale per lo Yemen. I suoi sforzi per promuovere la pace, tuttavia, non si sono allontanati troppo dai vecchi discorsi degli Stati Uniti sul “crescente potere” dell’ISIS e di Al-Qaeda nello Yemen. Lenderking ha continuato a opporsi a una vera stabilità e indipendenza dello Yemen che potrebbe competere con l’Arabia Saudita e sconvolgere l’equilibrio di potere nella regione.

L’anno scorso gli Stati Uniti hanno appoggiato la nomina incostituzionale del cosiddetto Consiglio presidenziale di transizione (TPC), che ha preso il posto del presidente spodestato Abdrabbuh Mansur Hadi, cacciato dalla sua posizione dai leader sauditi, frustrati dalle sue manovre sottobanco.

Ha inoltre sostenuto la creazione di una “forza unificata” affiliata al Ministero della Difesa del Consiglio, pur sapendo che le divisioni interne della forza rappresentavano una bomba a orologeria che, col tempo, sarebbe esplosa creando uno Stato fallito governato da milizie in competizione tra loro.

Nonostante gli interessi comuni, Stati Uniti ed Arabia Saudita non condividono il consenso su tutto ciò che riguarda lo Yemen e le loro rispettive visioni divergono in alcuni modi importanti. Le priorità più significative degli Stati Uniti sono:

Lotta al terrorismo: gli Stati Uniti hanno intensificato la loro presenza in Yemen con il pretesto di combattere il terrorismo dopo l’attacco di Al-Qaeda del 2000 al cacciatorpediniere missilistico guidato USS Cole, al largo delle coste di Aden. Washington ha firmato accordi di sicurezza con il governo Saleh per aprire stazioni di intelligence statunitensi a Sanaa e Aden e per schierare unità militari nelle basi di Al-Anad e Daylami. Quando Al-Qaeda ha incrementato le sue attività nello Yemen dopo il 2011, è cresciuto anche il ruolo militare degli Stati Uniti, con almeno 5.000 truppe dispiegate nel Paese. Washington ha anche stanziato 250 milioni di dollari all’anno per il Ministero della Difesa yemenita per combattere i gruppi armati. Ciò è durato fino al 2014, quando Ansarallah ha preso il controllo di Sanaa, spingendo gli Stati Uniti ad affidarsi agli Emirati Arabi Uniti per il cosiddetto progetto antiterrorismo.

Coordinamento USA-Emirati: il coordinamento politico e di sicurezza tra Abu Dhabi e Washington in Yemen è cresciuto negli anni dopo che gli Emirati hanno sostituito i Sauditi in diverse regioni del Paese. Negli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti hanno trovato uno strumento utile per molti dei loro piani indiretti. Questo si aggiunge alla ritrovata alleanza degli Emirati Arabi Uniti con Israele, dato che le due nazioni hanno lavorato in tandem nelle isole yemenite strategiche di Socotra e Mayon.

Protezione della navigazione internazionale: gli Stati Uniti hanno istituito le Combined Maritime Forces (CMF) insieme a 33 Paesi per garantire la sicurezza delle rotte idriche nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden e per proteggere le petroliere che attraversano lo stretto di Bab al-Mandab provenienti dai Paesi del Golfo. Anche la Quinta Flotta della Marina statunitense, con sede in Bahrein, è attiva lungo le acque territoriali yemenite e ha ripetutamente affermato di aver confiscato carichi di armi provenienti dall’Iran e diretti ai porti controllati dagli Ansarallah.

Dividere lo Yemen: la visione dello Yemen inizia davvero a divergere tra Stati Uniti e Arabia Saudita quando si tratta del futuro assetto politico del Paese. A differenza dell’Arabia Saudita – che immagina un risultato in cui lo Yemen rimanga un forte Stato centralizzato fedele a Riyadh, oppure diviso in sei regioni autonome governate sotto l’ombrello di uno Stato centrale – Washington, come Abu Dhabi, sostiene una divisione del Paese.

In quest’ultimo scenario, Ansarallah potrebbe mantenere le aree settentrionali che attualmente controlla, mentre il resto dello Yemen sarebbe diviso in quattro regioni indipendenti (Aden, Hadramout, Marib e la costa occidentale). Gli Stati Uniti pensano che questa divisione sia una strategia per emarginare Ansarallah e limitare il suo potere a una specifica area geografica, delimitata da quattro mini-stati in guerra, uniti nell’ostilità a Sanaa.

A gennaio, l’Arabia Saudita ha tenuto colloqui con Ansarallah a Sanaa e Sadaa, dove le due parti hanno concordato di ampliare i termini della tregua mediata dalle Nazioni Unite, firmata nell’aprile 2022.

I sauditi hanno anche accettato di soddisfare le richieste umanitarie di Ansarallah, che includono l’allentamento del blocco aereo (aeroporto di Sanaa) e navale (porto di Hodeida) che ha spinto lo Yemen sull’orlo della carestia. I nuovi termini includono anche il ripristino degli stipendi dei dipendenti del governo di Sanaa, congelati da sette anni.

Secondo fonti della capitale yemenita, è stato l’intervento degli Stati Uniti a impedire all’Arabia Saudita di mettere in atto questo nuovo accordo. I sauditi hanno spifferato tutto ai loro partner negoziali yemeniti quando hanno detto che “i nostri partner si oppongono all’espansione della tregua”. E non stavano parlando degli Emirati Arabi Uniti.

Mentre la guerra si avvicina al suo ottavo anniversario, né gli Stati Uniti né l’Arabia Saudita si sono discostati dal desiderio reciproco di mantenere lo Yemen debole e impantanato nella crisi, in modo da impedire ad Ansarallah di svolgere un ruolo più ampio all’interno dell’asse di resistenza della regione.

Ma nonostante il brutale assedio imposto allo Yemen, l’esercito yemenita ha potenziato in modo significativo le sue capacità offensive e i suoi progressi militari qualitativi, costringendo il regno a cercare un’uscita dalle ostilità per proteggere gli ambiziosi progetti economici nazionali del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – e salvare la faccia per le perdite subite in Yemen.

Questa è l’attuale priorità interna di Riyadh. Mentre gli Stati Uniti, a migliaia di chilometri di distanza dalla battaglia, continuano a insistere per mantenere il conflitto yemenita in gioco e usarlo come leva per le loro strategie regionali più ampie. Ciò include lo sfruttamento delle catastrofiche conseguenze umanitarie della guerra per aumentare la pressione interna su Ansarallah.

In breve, prolungando all’infinito la tregua esistente – ma solo a condizione che il blocco economico dello Yemen continui – la fine della guerra non rientra nei piani di Washington.

Traduzione a cura di Costantino Ceoldo

Foto: AP

21 marzo 2023

Seguici sui nostri canali
Telegram 
Facebook 
YouTube