di Belinda Bruni
Un dogma velenoso attraversa la nostra società ed è trasversale. È la prova di quanto sia decadente e in lenta, inesorabile decomposizione: la convinzione che in fondo non è colpa solo di chi fa il male in quanto cattivo, ma anche dei molti “deboli” che se lo fanno fare.
Il mito dell’uomo con personalità che non si fa mettere i piedi in testa, non si fa indottrinare, sa sempre cosa fare, come farlo, quando farlo.
Se qualcuno fa il male è anche perché tutti gli altri sono fessi, ignoranti, deboli.
La convinzione che esista quasi primariamente la responsabilità del singolo di non farsi sopraffare è molto comoda, esclude dall’orizzonte la responsabilità personale verso il bene comune e la costruzione di una società ordinata.
Certifica l’assenza di Princìpi.
Da dove dovrebbero nascere tutte queste persone con carattere? Dalla selezione naturale?
In primo luogo una persona che non si fa toccare da nulla, in apparenza impermeabile a qualunque attacco, non è per forza una persona di carattere, potrebbe semplicemente essere una persona dall’io ipertrofico, egoista e competitiva. Tutt’altro che un modello di coscienza e coerenza.
In secondo luogo, ed è fondamentale, l’uomo non è perfetto, è fatto ontologicamente anche di tare e ombre. Per questo esiste la pedagogia: per tirare fuori la luce e imparare a fare i conti con le ombre. Per riconoscere e affinare la vocazione e mettere in pratica i talenti, in coscienza.
Chi approfitta degli istinti bassi delle masse non è furbo, non è intelligente, non è capace: è una brutta persona, priva di scrupoli e con poca coscienza.
Chi ammira in fondo in fondo, quando addirittura non invidia, coloro che hanno successo approfittando delle debolezze umane, contribuisce al decadimento della società.
Anche scrivere per farsi leggere o cavalcare l’ultima onda, e non per dire ciò che è veramente necessario dire, fa parte di questo gioco.
Che tutto questo appartenga ai non credenti non è giustificabile, un uomo dovrebbe restare tale anche se non è religioso, ma che appartenga ai credenti è sconcertante.
Un cattolico non può sostenere la legge del più forte confondendo i migliori con i più forti.
Se nemmeno i cattolici conoscono più l’antropologia cristiana e una sociologia soprannaturale, a cosa serve la fede proclamata?
Il mito individualista per cui se tutti lavorano al bene proprio il risultato è il raggiungimento del bene comune, oltre essere ingenuo perché è chiaro che porta alla guerra tra bisogni individuali, è lontanissimo dall’insegnamento cristiano, chiarissimo nell’avere a fondamento che nessuno si salva da solo. La società è corpo sociale dove se un membro soffre tutto il corpo soffre.
Eppure l’individualismo ha pervaso anche la fede, dove “io” mi salvo, con il mio percorso interiore, senza responsabilità verso la comunità. Al massimo si sogna di imporre leggi morali e arrestare i corrotti senza nessun impegno culturale e di cambiamento sociale. Un mondo dove si ammirano i più forti che hanno successo, ma si mettono in galera le ragazze che abortiscono perché è la sola libertà che conoscono.
Oppure si attende la fine di questo mondo tra conferenze e libri, raccontandosi che Dio ci ha detto di non fare più nulla e che certamente noi saremo gli eletti che vedranno oltre la fine.
Che la sola risposta all’individualismo estremo sia il collettivismo asfissiante è una menzogna grande come non ti vaccini, ti ammali, muori e fai morire, e infatti Mario Draghi le incarna benissimo entrambe, e questo dovrebbe far riflettere molti. Ma a molti fa comodo perché li lascia al sicuro nella loro postazione che si sono costruiti, senza sforzo.
A coloro che pensano che se la “cultura” è decadente lo è solo perché la gente è ignorante e senza carattere e le viene dato quello che cerca, ci permettiamo di far notare che se il migliore dei mondi possibili si è evoluto nell’incubo tecno-totalitario è perché troppi sono impermeabili a tutto, anche al Bene e alla responsabilità verso l’altro.
A tutti noi verrà chiesto: dove è tuo fratello?
Foto: Fosco Maraini, Nostro Sud
27 febbraio 2023